Info contatti

Blog

Pressione alta: Come abbassarla?

Se soffri di pressione alta, è importante sapere come abbassarla per prevenire le complicanze per la salute. La pressione alta è spesso chiamata il “killer silenzioso” poiché non sempre si avvertono i sintomi, ma può aumentare il rischio di ictus, malattie cardiache e renali. Tuttavia, ci sono molte cose che puoi fare per abbassare la pressione, dalla modifica della dieta all’aumento dell’attività fisica e alla riduzione dello stress. In questo articolo, esploreremo alcune strategie efficaci per abbassare la pressione alta e vivere uno stile di vita più sano. Cos’è l’ipertensione? Quali sono i valori normali? Pressione alta: Come abbassarla con la dieta Il ruolo del Sodio Differenza sodio / sale Valori di riferimento per il sodio Il ruolo del Potassio Consigli per la cottura degli alimenti Alimenti da evitare Pressione alta e Omega-3 Alcol e pressione alta Pressione alta: Come abbassarla con la dieta DASH Attività fisica e pressione alta Pressione alta e come abbassarla: Conclusioni Cos’è l’ipertensione? L’ipertensione, comunemente nota come pressione alta, è una condizione in cui la pressione del sangue sulle pareti delle arterie è costantemente elevata. La pressione sanguigna è misurata attraverso due numeri: la pressione sistolica e la pressione diastolica. La pressione sistolica rappresenta la forza esercitata dal sangue sulle arterie durante le contrazioni del cuore, mentre la pressione diastolica indica la pressione quando il cuore si rilassa tra le contrazioni. L’ipertensione si verifica quando la pressione arteriosa raggiunge valori superiori a 140/90 mmHg. L’ipertensione è spesso considerata “il killer silenzioso“, poiché non presenta sintomi evidenti nella maggior parte dei casi. Tuttavia, nel corso del tempo, può danneggiare i vasi sanguigni, il cuore e altri organi vitali, aumentando il rischio di malattie cardiache, ictus e altre complicanze mediche. Il controllo della pressione sanguigna attraverso una dieta equilibrata, l’attività fisica regolare e altre misure di stile di vita salutari è essenziale per prevenire e gestire l’ipertensione, mantenendo così una buona salute cardiovascolare. Quali sono i valori normali? STADIO VALORI PRESSIONE Pressione ottimale <120/80 mmHg Pressione accettabile <130/85 mmHg PRE-Ipertensione 130-139/85-89 mmHg Ipertensione STADIO 1 140-159/90-99 mmHg Ipertensione STADIO 2 160-179/100-109 mmHg Ipertensione STADIO 3 >180/110 mmHg Pressione alta: Come abbassarla con la dieta Se soffri di pressione alta e desideri scoprire come abbassarla, questo è il paragrafo fondamentale che devi seguire. L’ipertensione, è una condizione comune che può aumentare il rischio di malattie cardiache e ictus. Fortunatamente, attraverso scelte alimentari consapevoli, è possibile ottenere un notevole impatto sul controllo della pressione arteriosa. La dieta gioca un ruolo fondamentale nel fornire al corpo i nutrienti necessari per mantenere un equilibrio sano e ridurre la pressione sanguigna. Ridurre l’assunzione di sodio, aumentare l’apporto di potassio, calcio e magnesio, e seguire una dieta ricca di frutta, verdura e alimenti integrali sono solo alcune delle strategie che possono essere adottate per contrastare l’ipertensione. In questo articolo, esploreremo in dettaglio come la dieta può aiutare a ridurre la pressione alta, offrendo consigli pratici su come incorporare abitudini alimentari salutari nella tua routine quotidiana. Scopriremo come combinare una varietà di alimenti nutrienti per promuovere una pressione sanguigna ottimale e migliorare la tua salute cardiovascolare nel complesso. Il ruolo del Sodio Il sodio svolge un ruolo cruciale nella regolazione dei livelli di pressione sanguigna. Quando consumiamo un’elevata quantità di sodio attraverso la dieta, la concentrazione di sodio nel sangue aumenta. Di conseguenza, l’acqua si sposta dai tessuti circostanti verso il sangue per bilanciare la concentrazione di sodio. Questa ritenzione di acqua nel sangue aumenta il volume sanguigno e, di conseguenza, la pressione sanguigna sulle pareti delle arterie. Numerosi studi scientifici hanno evidenziato il legame tra l’assunzione eccessiva di sodio e l’ipertensione. La maggioranza della comunità scientifica concorda sul fatto che una restrizione dell’assunzione di sodio a circa 2 grammi al giorno porti a una significativa riduzione della pressione arteriosa in individui affetti da ipertensione. Per ridurre l’assunzione di sodio nella dieta, è necessario prestare attenzione agli alimenti che comunemente contengono elevate quantità di sodio: Alimenti salati: come patatine, snack salati, cracker salati, olive. Affettati e insaccati: prosciutto, bresaola, mortadella, salame ecc. Alimenti in scatola: come zuppe in scatola, sottaceti, tonno in scatola e cibi in scatola pronti. Formaggi: alcuni tipi di formaggi, come il cheddar, il pecorino, il feta e il parmigiano, possono contenere quantità significative di sodio. Pane e prodotti da forno: molte varietà di pane, panini, biscotti e torte possono contenere sodio aggiunto. Cibi precotti e congelati: come pasti pronti surgelati, pizza surgelata, involtini primavera e patatine surgelate. Salse e condimenti: come salsa di soia, ketchup, maionese, ecc. Alimenti in salamoia: come cetriolini, crauti, capperi e olive sott’olio. Alimenti conservati: come carne in salamoia, pesce affumicato, sardine e altri alimenti conservati. Ricorda che l’elenco sopra menzionato è solo un esempio generale e non esaustivo. È sempre consigliabile leggere attentamente le etichette degli alimenti per conoscere il contenuto di sodio specifico e fare scelte alimentari consapevoli. Differenza sodio / sale Il sodio e il sale sono due concetti correlati, ma non sono sinonimi. Il sodio (Na) è un elemento chimico presente nella tavola periodica degli elementi. D’altra parte, il sale si riferisce comunemente al cloruro di sodio (NaCl), un composto chimico formato da sodio e cloro. Quindi, possiamo dire che il sodio è uno degli elementi costituenti del sale. Per trovare il sodio presente in un determinato alimento possiamo moltiplicare il valore del sale per 0.4.ESEMPIO: se un alimento contiene 2gr di sale in 100gr, per trovare il sodio dobbiamo fare: 2 x 0.4 = 0.8gPertanto l’alimento conterrà 0.8gr di sodio su 100gr di prodotto. Valori di riferimento per il sodio È consigliato limitare l’assunzione di sodio a meno di 2.300 mg al giorno, ma per le persone con ipertensione o altre condizioni mediche, una quantità ancora più bassa, come 1.500 mg al giorno, può essere raccomandata. È importante consultare un professionista della nutrizione per determinare l’apporto di sodio adeguato sulla base delle proprie esigenze individuali e condizioni di salute. Il ruolo del potassio Il potassio è un minerale essenziale che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione della pressione sanguigna. A

Dieta paleo: Funziona davvero?

La dieta paleo, o dieta paleolitica, è diventata molto popolare negli ultimi anni, soprattutto tra coloro che cercano di migliorare la propria salute e forma fisica. Ma di cosa si tratta esattamente? E funziona davvero? Dieta paleo: Di cosa si tratta? Quali alimenti si mangiano nella dieta paleo? Benefici e rischi Conclusioni Dieta paleo: Di cosa si tratta? La dieta paleo si basa sul presupposto che il nostro corpo sia ancora programmato per una dieta simile a quella dei nostri antenati del Paleolitico, cioè cacciatori-raccoglitori che vivevano circa 10.000 anni fa. La dieta del paleo prevede quindi l’eliminazione di tutti i cibi moderni che sono stati introdotti dopo la rivoluzione agricola, come i cereali, i latticini, i legumi e gli alimenti trasformati, concentrandosi invece su alimenti naturali come carne, pesce, uova, verdure e frutta. La teoria alla base di questo modello alimentare è che la nostra alimentazione moderna, ricca di carboidrati raffinati, zuccheri e grassi saturi, sia la causa di molte malattie croniche come l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari e il cancro. La dieta del paleo, d’altra parte, sostiene di migliorare la salute attraverso un’alimentazione più naturale, ricca di nutrienti e priva di sostanze dannose. Quali alimenti si mangiano nella dieta paleo? Gli alimenti che fanno parte della dieta paleo sono: Carne – principalmente selvaggina Pollame Pesce Frutta fresca Frutta secca oleosa – da limitare Verdure Tra gli alimenti da EVITARE troviamo: Cereali Legumi Tuberi Oli vegetali raffinati Zucchero Latte e Latticini Caffè Alcol Ma funziona davvero la dieta paleo? Benefici e rischi Mentre molti seguaci di questa dieta affermano che questa possa portare ad un miglioramento della salute e ad una perdita di peso, le evidenze scientifiche a supporto di queste affermazioni sono limitate e controverse. Ad esempio per quanto riguarda la salute generale, alcuni studi hanno suggerito che la dieta paleo può portare a miglioramenti nella sensibilità all’insulina e nei livelli di zucchero nel sangue, particolarmente in individui con diabete di tipo 2. Tuttavia, altri studi hanno trovato risultati contrastanti e il ruolo specifico di questa tipologia di dieta non è ancora chiaro. Per quanto riguarda il dimagrimento, è associato ad un deficit calorico piuttosto che al tipo di alimentazione, pertanto non ci sono differenze significative rispetto ad una dieta mediterranea in tal senso. Quello che è certo è che questo protocollo alimentare elimina alcune categorie di alimenti che sono importanti per non andare incontro ad eventuali carenze. Escludere i latticini ad esempio può portare a carenza di calcio con conseguenze legate all’osteoporosi. Come anche l’eliminazione dei legumi provoca l’esclusione di un’ottima fonte di fibre alimentari.L’aumentato consumo di proteine ​​animali, inoltre, non è assolutamente adatto a chi soffre di patologie renali. Inoltre è interessante evidenziare come le carni derivanti dagli allevamenti odierni sono, dal punto di vista degli acidi grassi, completamente diverse da quelle consumate dai nostri antenati di 10.000 anni fa. Sono sicuramente più sbilanciate verso acidi grassi saturi che comportano, quindi, un aumentato rischio cardiovascolari. Conclusioni In sintesi, come con qualsiasi dieta, è importante prestare attenzione alla scelta degli alimenti e ai propri bisogni nutrizionali individuali. Inoltre, è importante considerare l’impatto sociale ed economico di questo protocollo alimentare e non cadere nelle trappole del marketing e delle promesse di perdita di peso veloce e facile.

Digiuno Intermittente 16 8: Esempio

Il digiuno intermittente è un modello alimentare caratterizzato da una fase di digiuno e una fase di alimentazione. Esistono tanti tipi di digiuno intermittente, ma la metodica più diffusa ed utilizzata è senza dubbio il digiuno 16/8 che consiste in 16 ore di digiuno e 8 ore di alimentazione. Cerchiamo di capire meglio come funziona, quali sono i benefici o i possibili rischi ed infine vediamo insieme un esempio di menu. Digiuno Intermittente: Cos’è Digiuno intermittente NON significa dimagrire Tipologie di digiuno Digiuno intermittente: Ormoni e metabolismo Benefici digiuno intermittente Controindicazioni digiuno intermittente Esempio menu digiuno 16/8 Riflessione finale Digiuno Intermittente: Cos’è Il digiuno consiste nel periodo di tempo in cui una persona non mangia. Questo significa che ognuno di noi sperimenta una fase di digiuno durante il giorno, e durante la notte si arriva a circa 10-12 ore di digiuno se non viene saltata la colazione. Quando si parla di digiuno intermittente (intermittent fasting) non parliamo di digiuno prolungato (di giorni o settimane), ma di un periodo di digiuno che tendenzialmente dura 16 ore. Periodi di digiuno troppo prolungati non sono fisiologici e anzi espongono a problemi di malnutrizione piuttosto importanti. Digiuno intermittente NON significa dimagrire L’errore più comune di chi sente parlare per la prima volta di digiuno intermittente, è che si crede che adottando questa proposta alimentare si dimagrisca a prescindere. Ebbene, questo è assolutamente FALSO! Superare il proprio fabbisogno, anche con il digiuno intermittente farà ingrassare. Il digiuno intermittente è solo un modo per gestire la nostra dieta e che si applica in base alle esigenze ed alle preferenze soggettive. Tipologie di digiuno Esistono diverse proposte di digiuno intermittente: 16/8: 16 ore di digiuno e 8 di alimentazione 5/2: 5 giorni di alimentazione normale e 2 giorni di calorie estremamente ridotte (500Kcal) EAT STOP EAT: 1-2 giorni a settimana di digiuno Warrior Diet: 20 ore di digiuno e 4 di alimentazione Come potete vedere di proposte ne esistono molte ed alcune non le ho neanche citate. Oggi mi soffermo sull’unica soluzione di digiuno che secondo me vale la pena tenere in considerazione, ovvero la 16/8 in quanto è la più gestibile. Il digiuno 16/8 prevede una fase di digiuno che dura 16 ore e una di alimentazione che dura 8 ore. In queste 8 ore si deve seguire la normale alimentazione. Cosa significa? Che se stiamo seguendo una dieta ipocalorica per dimagrire, in queste 8 ore seguiremo semplicemente la dieta. Il digiuno intermittente è semplicemente un metodo per affrontare la dieta, ma non è una dieta in sé. Successivamente faremo un esempio di digiuno intermittente. Digiuno intermittente: Ormoni e metabolismo Il digiuno è uno stimolo stressante per l’organismo e la risposta individuale allo stress è diversa da individuo ad individuo. Questo significa che non tutti riescono a gestire bene il digiuno intermittente e trarne beneficio (parliamo del digiuno 16/8), poiché la proposta ed il modello da seguire è identico per tutti, ma ognuno di noi risponde comunque in modo diverso agli stimoli stressanti. Quello che sappiamo con certezza è che i livelli di cortisolo (ormone dello stress) possono aumentare e questo di sicuro non facilita il dimagrimento. Nel digiuno notturno (digiuno fisiologico) vi è un continuo rilascio di glucosio da parte del fegato che mantiene i livelli di glicemia costanti. Se il digiuno si prolunga, le scorte di glucosio iniziano a scarseggiare, inizia una fase di gluconeogenesi (il glucosio viene prodotto a partire da altri nutrienti come amminoacidi glucogenici o glicerolo). Questo è affiancato ad una riduzione dei livelli di insulina ed aumento dei livelli degli ormoni contro-regolatori (cortisolo, catecolammine, glucagone). Inoltre, dopo circa 8-12 ore di digiuno inizia ad instaurarsi anche una condizione di chetosi con l’accumulo di corpi chetonici in circolo. Un altro meccanismo che si può verificare è la stimolazione dell’autofagia ovvero un meccanismo del tutto fisiologico provocato da una restrizione calorica e che consiste nella distruzione e successiva rigenerazione di mitocondri danneggiati, attraverso un processo lisosomiale. Questo migliora l’attività metabolica dell’organismo. Benefici digiuno intermittente Cerchiamo di valutare quelli che potrebbero essere i benefici di questa proposta alimentare: Miglior aderenza alla dieta: Questo non è detto che ci sia per tutti. Potrebbe essere un modello da seguire per determinate persone che preferiscono racchiudere i loro pasti nelle 8 ore piuttosto che distribuirli su tutta la giornata. Possibile aumento della sensibilità insulinica: Anche qui la risposta individuale è piuttosto diversa e non si verifica in tutti i soggetti. Possibile aumento della lipolisi: La lipolisi consiste nel dimagrimento. Voglio specificare ulteriormente che se di base la dieta che si segue è una normocalorica o addirittura ipercalorica, il dimagrimento non ci sarà nonostante si utilizzi il digiuno intermittente. Il possibile aumento della lipolisi è solo associata all’assetto ormonale durante il digiuno, ma per dimagrire è essenziale il bilancio calorico negativo sul lungo termine. Controindicazioni digiuno intermittente Crisi di fame: Potresti non gestire le ore di digiuno avvertendo molta fame e quindi andando incontro ad uno stress piuttosto importante. Potresti mangiare di più: Durante le 8 ore potresti andare incontro ad un aumento del consumo di cibo in quanto ti senti giustificato dopo aver affrontato 16 ore di digiuno. Potresti mangiare meno: Più spesso si corre il rischio opposto, ovvero non riuscire a mangiare nelle 8 ore il corretto fabbisogno giornaliero o comunque le calorie imposte dalla dieta. Questo comporta chiaramente un possibile rischio di malnutrizione sul lungo periodo se non ben controllato. Calo energetico: Potresti andare incontro ad un calo energetico dopo un periodo piuttosto lungo di digiuno (>16 ore). Cambiamento abitudini: Non dimentichiamoci che il digiuno richiede quantomeno un piccolo stravolgimento delle normali abitudini, dovendo saltare, ad esempio, la colazione e non potendo mangiare eventualmente dopo cena. Esempio menu digiuno 16/8 PASTO ALIMENTO ORARIO Pranzo Pasta al pomodoro + Orata + Rucola + Olio EVO 13:00 Merenda Yogurt + Frutta Fresca + Frutta secca 17:00 Cena Riso con zucchine + Petto di pollo + Fagiolini + Olio Evo 21:00 Riflessione finale Se il nostro obiettivo è il dimagrimento, dobbiamo utilizzare il metodo che riusciamo

Fibre alimentari: Benefici per la salute

Le fibre alimentari sono nutrienti fondamentali per l’organismo e per la prevenzione o trattamento di diverse patologie. Iniziamo questo articolo descrivendo brevemente cosa sono le fibre, la loro differenza tra solubili e insolubili fino a degli esempi pratici di una dieta ricca in fibre. Fibre alimentari: solubili e insolubili Quali alimenti le contengono? Benefici fibre alimentari Controindicazioni fibre alimentari Esempio dieta ricca in fibre Fibre alimentari: solubili e insolubili Le fibre alimentari sono classificate come carboidrati non digeriti e non assorbiti dall’organismo. Tra le fibre alimentari troviamo ad esempio la cellulosa, emicellulosa, lignina, β-glucani, pectine, gomme, mucillagini ecc. FIBRA SOLUBILELa fibra solubile è quel tipo di fibra che si dissolve nel lume intestinale ed è caratterizzata da un’elevata viscosità che permette un rallentamento del transito intestinale. FIBRA INSOLUBILELa fibra insolubile non si dissolve in acqua ed è caratterizzata da una capacità di accumulare acqua che permette di aumentare la massa fecale rendendola anche più morbida. Quali alimenti le contengono? In generale le fibre alimentari sono contenute principalmente in cereali integrali, frutta, verdura e frutta secca. Le fibre solubili sono contenute principalmente in: Avena Patate Legumi Orzo perlato Frutta (es. Mela, Albicocca, prugna) Frutta secca Carciofi Le fibre insolubili, invece sono contenute in: Cereali integrali Pane integrale Legumi (fagioli, piselli, ceci) Verdure Frutta (Pera, Prugna) Benefici fibre alimentari Le fibre hanno un ruolo importantissimo nella prevenzione di malattie cardiovascolari (infarto, ictus, aterosclerosi), metaboliche (diabete) e tumorali. Aiutano anche ad un aumento del senso di sazietà favorendo un controllo del peso corporeo. Entriamo più nello specifico e vediamo insieme quali sono gli effetti delle fibre solubili e insolubili. Tra i benefici delle fibre solubili troviamo: Attività prebiotica: Stimolano il buon funzionamento del microbiota intestinale Abbassano l’indice glicemico: Grazie alla proprietà viscosa queste fibre riducono l’assorbimento di zuccheri migliorando il controllo glicemico e di conseguenza anche quello insulinico. Riducono i livelli di colesterolo: Questo avviene principalmente per 3 meccanismi: Ridotto assorbimento intestinale Aumentata escrezione Riduzione della sintesi di colesterolo (questo meccanismo è uno dei più importanti tra i tre in quanto ha un impatto notevole sulla colesterolemia) Produzione di acidi grassi a catena corta: Fondamentali come substrato energetico per i colonociti (acido butirrico) e stimolazione linfociti T (acido propionico) Tra i benefici delle fibre insolubili troviamo: Riduzione rischio di cancro al colon-retto: Attraverso un aumento del transito intestinale, le sostanze tossiche permangono meno nel lume intestinale e vengo escrete tramite le feci Regolazione funzionalità intestinale migliorando condizioni di stitichezza. Aumento senso di sazietà Controindicazioni fibre alimentari Fino ad ora abbiamo visto tutte quelle condizioni in cui le fibre possono svolgere un ruolo formidabile sia per il trattamento che per la prevenzione (diabete, cancro al colon-retto e aterosclerosi). Esistono, però, condizioni in cui le fibre alimentari possono peggiorare la sintomatologia e, quindi la gestione di determinate patologie. Parliamo ad esempio delle fasi acute delle malattie infiammatorie croniche. Nel Morbo di Chron in fase acuta, le quantità di fibre alimentari devono essere ridotte al minimo, in quanto possono compromettere ancor di più la sintomatologia intestinale (dolori addominali, diarrea).Stesso discorso per le altre MICI come la rettocolite ulcerosa in fase acuta. Ovviamente, anche in presenza di sintomatologia intestinale come la diarrea è sconsigliato un eccesso di fibre poiché aumentando la massa fecale e rendendola più morbida possono peggiorare i sintomi. Il fabbisogno di fibre che i LARN consigliano è di circa 30gr/die. Questo può essere diverso in base anche alle condizioni precedentemente descritte. Esempio dieta ricca in fibre PASTO ALIMENTO Colazione Latte ps + Fiocchi d’Avena Spuntino Frutta fresca + Noci Pranzo Riso integrale con pollo + zucchine Merenda Frutta fresca + Yogurt greco Cena Pasta e fagioli + carote lesse E’ importante specificare che questo è solo un esempio di dieta. Per iniziare un percorso nutrizionale è necessario affidarsi ad uno specialista nel campo ed evitare qualsiasi approccio auto prescrittivo. La dieta è una terapia e come tale deve essere effettuata da personale qualificato

Dieta chetogenica: Cosa mangiare?

La dieta chetogenica è un modello alimentare che negli ultimi anni ha subito una forte crescita in termini di popolarità. Si tratta di una dieta strutturata in modo tale da provocare uno stato di chetosi nell’organismo. Questo attraverso una riduzione dei carboidrati (generalmente <50gr/die). La sua fama nasce dal fatto che quando si è in chetosi, vengono prodotte sostanze chiamate corpi chetonici che sono caratterizzati da un forte potere saziante. Questo permetterebbe di sostenere meglio una dieta ipocalorica rispetto ad un protocollo mediterraneo. Ma è davvero così? Scopriamolo in questo articolo. Dieta chetogenica: Che cos’è Dieta chetogenica: Funziona davvero per dimagrire? Possibili effetti collaterali Dieta chetogenica: Cosa mangiare? Dieta chetogenica: Rischi e benefici Riflessione finale Dieta chetogenica: Che cos’è Come abbiamo detto poco fa, si tratta di una dieta che induce chetosi. Ma cosa significa questo? Durante un digiuno prolungato o a causa di una forte restrizione di carboidrati, l’organismo mette in atto una serie di processi metabolici che portano alla formazione dei corpi chetonici. Il nostro organismo, in assenza di energia, può tranquillamente utilizzare i grassi al posto dei carboidrati. Questo accade, però, non per tutte le cellule, ma solo per alcune. Ad esempio, il nostro cervello funziona a glucosio e questo significa che non può sfruttare la riserva di grassi a scopo energetico. I problemi non finiscono qui, perché anche per quelle cellule che utilizzano i grassi a scopo energetico sorge un problemino. *Piccolo cenno di biochimica* Per utilizzare i grassi a scopo energetico, successivamente alla lipolisi, gli acidi grassi devono compiere la β-ossidazione e la molecola finale di questo processo è l’acetil-coenzima A. Quest’ultimo, per entrare nel ciclo di Krebs e continuare quindi a produrre energia, ha bisogno di condensarsi con l’ossalacetato. Ebbene quest’ultimo in mancanza di glucosio, scarseggia. Vi sarà quindi un accumulo di acetil-coenzima A, che darà vita alla chetogenesi con la formazione dei corpi chetonici (acetone, acetoacetato e β-idrossibutirrato). Detto questo, i corpi chetonici sono utilizzati a scopo energetico, ma sono molto meno efficienti rispetto all’utilizzo di grassi o carboidrati e quindi ai processi tradizionali. Questo perché la chetogenesi è una via metabolica di emergenza che l’organismo mette in atto per riuscire a sopravvivere. Migliaia di anni fa, infatti, i periodi di assenza di cibo potevano compromettere la sopravvivenza dell’individuo. Pertanto l’organismo si è evoluto in modo tale da riuscire a compensare queste carenze. Parliamo di chetosi nel momento in cui questi corpi chetonici si accumulano nel sangue. Proprio perché sono acidi, tendono a ridurre il ph sanguigno, pertanto l’organismo deve cercare di tamponare questa acidità attraverso l’eliminazione dei chetoni con le urine, il sudore e la respirazione (tipico odore di acetone). L’effetto tampone, è inoltre, sostenuto dalle sostanze alcaline presenti nell’organismo tra cui il calcio e successivamente vedremo quali potrebbero essere le problematiche in tal senso. Dieta chetogenica: Funziona davvero per dimagrire? Da un punto di vista clinico, la dieta chetogenica si è vista efficace per il trattamento dell’epilessia. Altri studi hanno indicato possibili effetti positivi in quei soggetti affetti da malattie neurodegenerative (Parkinson, Alzheimer), anche se in questo caso gli studi sono più inconcludenti. Per quanto riguarda il dimagrimento, le diete chetogeniche funzionano, come qualsiasi altra dieta ipocalorica, con qualche considerazione in più da fare. Sicuramente, lo stato di chetosi può facilitare un dimagrimento più veloce, grazie anche all’inefficienza energetica di cui parlavamo prima. Fondamentalmente abbiamo una dissipazione di energia più elevata rispetto ad una classica dieta mediterranea. Questo per 2 motivi principali: I corpi chetonici in eccesso verranno eliminati e non utilizzati a scopo energetico. Pertanto quegli acidi grassi utilizzati per produrre chetoni non hanno contribuito a fornire energia. I corpi chetonici forniranno circa 7Kcal/g rispetto ai grassi che ne forniscono 9Kcal/gr. Oltre a questo, i corpi chetonici hanno un forte potere saziante pertanto sembra più facile sostenere una dieta ipocalorica rispetto ad un modello tradizionale. Nelle prime fasi di dieta chetogenica, inoltre, ci sarà un calo di peso generalmente più importante rispetto ad una dieta ipocalorica classica a causa di una perdita di acqua maggiore proprio per l’eliminazione dei corpi chetonici accumulati. Questo, da un punto di vista psicologico è un forte vantaggio, mentre dal punto di vista clinico è piuttosto irrilevante. Possibili effetti collaterali La dieta chetogenica può essere un buon protocollo alimentare se utilizzato per brevi periodi, ma non può diventare un modello alimentare sostenibile sul lungo periodo. Capiamo perché. Partiamo dicendo che la dieta chetogenica NON è pericolosa. Non dobbiamo confondere lo stato di chetosi con lo stato di chetoacidosi. La chetoacidosi è una condizione patologica dove l’accumulo di corpi chetonici diventa eccessivo a causa di disfunzioni metaboliche e porta ad una riduzione del ph sanguigno. Questa condizione è piuttosto grave e pone a rischio la vita del soggetto. Per quanto ci possiamo impegnare, un soggetto sano, non può andare incontro ad uno stato di chetoacidosi con la sola dieta. La chetoacidosi è tipica, invece del diabete. Inoltre, se ben strutturata non avremo neanche una perdita di massa muscolare. Sul lungo periodo però, la dieta chetogenica può portare ad alcuni effetti collaterali: Carico metabolico causato dall’eliminazione dei chetoni. Possibile rischio di decalcificazione ossea: L’acidità dei corpi chetonici deve essere tamponata e questo può comportare che l’organismo sottragga il calcio dalle ossa per mantenere l’omeostasi. Disidratazione: Causata dall’aumentata eliminazione dell’acqua per smaltire i corpi chetonici. Alitosi: Causata dall’eliminazione dell’acetone tramite il respiro. Esclusione di alcuni cibi salutari: Per indurre la chetosi è necessario eliminare alcuni cibi contenenti carboidrati come la frutta, che è fortemente consigliata per il suo ruolo protettivo. Inoltre andremo a ridurre le fibre che hanno moltissimi effetti protettivi tra cui la riduzione del rischio tumorale e cardiovascolare. Dieta chetogenica: Cosa mangiare La dieta chetogenica si concentra principalmente su alimenti a basso contenuto di carboidrati e ad alto contenuto di grassi. Alcuni alimenti comuni che si mangiano durante una dieta chetogenica includono: Carne Pesce e frutti di mare Uova Verdure Latticini e formaggi Noci e semi Oli e semi Frutta secca Questi sono solo alcuni esempi di alimenti che si possono consumare durante una dieta

Dieta per diabete: Cosa mangiare?

Il diabete è un disordine metabolico caratterizzato da iperglicemia cronica, causata dall’alterazione della funzionalità insulinica, della secrezione di insulina o da entrambe le cose. Questo provoca un alterazione del metabolismo glucidico, lipidico e proteico. Quello che andremo a trattare oggi è il ruolo dell’alimentazione nel diabete cercando di capire quali sono le caratteristiche fondamentali di una dieta per il diabete. Il diabete è largamente diffuso nel mondo, ed è destinato ad aumentare sempre di più soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Pertanto è opportuno cercare di attuare delle manovre di prevenzione per ridurre il più possibile l’incidenza di questa patologia. Dieta per diabete: Classificazione e Diagnosi Dieta per diabete: Valori ottimali Fattori di rischio per il diabete Dieta per diabete: Ruolo dell’alimentazione Dieta per diabete: Zuccheri e indice glicemico Indice glicemico e carico glicemico: Quali sono le differenze? Dieta per diabete: Ruolo della fibra alimentare Dieta per diabete: Evitare zuccheri aggiunti Attività fisica e diabete Dieta per diabete: Consigli pratici Esempio dieta per diabete Dieta per diabete: Classificazione e Diagnosi Il diabete viene classificato principalmente in due tipi: Diabete di tipo 1: E’ una patologia a carattere autoimmunitario, che provoca la distruzione delle cellule β del pancreas e questo comporta la totale assenza di insulina. Diabete di tipo 2: L’insulina viene prodotta, ma il soggetto soffre di una forte resistenza insulinica, ovvero le cellule non rispondono correttamente all’azione dell’insulina e questo si traduce in un aumento del glucosio (e quindi glicemia) nel sangue. Tra i due tipi di diabete quello più comune è il tipo 2 ed è quello che tratteremo oggi. Insorge principalmente nell’adulto. Il diabete di tipo 1 , al contrario, è tipico dell’età infantile. Dieta per diabete: Valori ottimali Il diabete si diagnostica, principalmente, attraverso la valutazione della glicemia. I criteri diagnostici sono: Test Valori Normali Diabete Glicemia a digiuno < 100 mg/dl ≥ 126 mg/dl Glicemia dopo 2 ore da carico orale < 140 mg/dl > 200 mg/dl Emoglobina glicata < 5,5% > 6,5% Nel caso di glicemia a digiuno compresa tra 100 e 125, si parla di alterata glicemia a digiuno che è una condizione che precede il diabete. Fattori di rischio per il diabete Sovrappeso / Obesità: Mi sento di dire, senza esitazione, che il principale fattore di rischio è rappresentato dall’obesità, ancor peggio se correlata ad un accumulo di grasso viscerale (obesità addominale). Dislipidemie: Alti livelli di trigliceridi e colesterolo nel sangue. Vita sedentaria Predisposizione familiare: È bene precisare che il termine “predisposizione” NON SIGNIFICA “ereditaria”. Il diabete non è una patologia ereditaria, ma soltanto predisponente. Questo significa che con un lavoro di prevenzione si può evitare l’insorgenza della patologia. Età avanzata Alimentazione squilibrata Detto questo passiamo al ruolo della prevenzione ed in particolare al ruolo dell’alimentazione. Dieta per diabete: Ruolo dell’alimentazione La corretta alimentazione può portare dei benefici non indifferenti in termini di prevenzione, soprattutto in quei soggetti che hanno una predisposizione familiare o altri fattori di rischio. Tutto ciò che andremo ad elencare ed esporre saranno dati e riferimenti della SID (Società Italiana di Diabetologia). Il ruolo della dieta per il diabete è quello di: Mantenere i livelli glicemici normali Correggere eventuali dislipidemie Ripristinare un corretto peso corporeo lì dove necessario impostando uno schema dietetico ipocalorico. Dieta per diabete: Zuccheri e indice glicemico Il primo parametro da monitorare nella dieta per il diabete sono gli zuccheri. La dieta deve contenere una quantità di zuccheri pari a <10% delle calorie totali. Questo significa che su 2000kcal, deve contenere massimo 50gr di zuccheri. Questo perché il primo stimolatore della glicemia sono proprio gli zuccheri semplici. L‘indice glicemico è sicuramente un altro parametro da tenere sott’occhio, ma consideriamo che ad oggi è più sensato parlare di carico glicemico. Quali sono le differenze? Indice glicemico e carico glicemico: Quali sono le differenze? L’indice glicemico (IG) è un valore che esprime la velocità con cui un determinato alimento contenente carboidrati fa aumentare la concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia). Il carico glicemico (CG) invece tiene in considerazione l’intero pasto e non più il singolo alimento. E’ un parametro sicuramente più affidabile visto che tutti noi mangiamo più di un alimento a pasto. Questa necessità nasce dal fatto che la composizione dell’alimento o anche la sua cottura può influenzare notevolmente l’indice glicemico degli altri alimenti. Ad esempio: Un pasto ricco di fibre, ad esempio pasta integrale e carciofi con cottura al dente, avrà un carico glicemico notevolmente inferiore rispetto ad un piatto di pasta normale in bianco. Tornando al diabete, quello che noi vogliamo è sicuramente un pasto con un carico glicemico basso in quanto non avremo un picco glicemico eccessivo, tenendo così, sotto controllo la glicemia. Dieta per diabete: Ruolo della fibra alimentare La fibra alimentare svolge un ruolo primario nel trattamento e nella prevenzione del diabete. La fibra ha la capacità di ridurre il picco glicemico riducendo, quindi l’indice glicemico di un determinato alimento. Pertanto è di fondamentale importanza l’assunzione di almeno 30gr di fibra al giorno. Gli alimenti ricchi in fibra sono: Legumi: Fagioli, ceci, lenticchie, fave Cereali integrali: Crusca di frumento, pasta integrale, avena, quinoa, muesli ricchi in fibre per colazione Frutta secca: mandorle, nocciole, noci, ecc Frutta e verdura: Per quanto riguarda la frutta, è consigliato lì dove possibile, mangiarla con buccia (mela, pesca, pera). E’ importante non esagerare con l’assunzione della frutta in quanto contiene notevoli quantità di zuccheri. Dieta per diabete: Evitare zuccheri aggiunti Fondamentale è evitare l’eccesso di zuccheri semplici come abbiamo già detto poco fa. Pertanto è importante ridurre tutti quegli alimenti confezionati come merendine, cioccolatine e preferire spremute piuttosto che succhi di frutta. Evitare bevande gassate e zuccherate e preferire il consumo di pane e pasta integrali. Attività fisica e diabete Ricordiamo, inoltre, l’importanza del mantenersi il più possibile attivi (almeno 150min / settimana). L’attività fisica migliora i livelli glicemici e soprattutto migliora la sensibilità insulinica facendo lavorare meglio questo ormone che è estremamente importante per regolare i livelli glicemici. Dieta per diabete: Consigli pratici Assumere almeno 5 porzioni tra frutta e verdura al giorno Preferire

Cibi da evitare in allattamento

La dieta durante l’allattamento deve essere molto bilanciata e variegata e non si discosta dalle linee guida per una sana alimentazione che molti enti come il CREA ci mettono a disposizione. In questo articolo vi darò qualche consiglio su quali sono i cibi da evitare in allattamento, andando ad esplorare anche quelli che sono i fabbisogni della madre durante questa fase. Introduzione Cibi da evitare in allattamento L’alcol e il caffè possono essere consumati? Fabbisogni nutrizionali durante l’allattamento Quanti grassi assumere? Fabbisogno di proteine, carboidrati ed energia Quali micronutrienti sono importanti durante l’allattamento? Una dieta vegetariana influenza l’allattamento? Introduzione Molte donne, post-partum credono che l’alimentazione durante l’allattamento sia meno importante rispetto alla gravidanza; la realtà è però che, per evitare l’insorgenza di alcuni disturbi nel neonato, come il reflusso gastroesofageo, è assolutamente necessario che la nutrice curi la sua alimentazione esattamente come nel periodo della gravidanza. Ricordiamoci che la qualità della dieta e lo stile di vita della madre si ripercuotono in modo estremamente importante nella produzione di latte, e quindi anche sul bambino. Quali sono i cibi da evitare in allattamento? Ora, entriamo nel dettaglio e scopriamo quali sono i cibi da evitare in allattamento. Partiamo con il dire che esistono alimenti che possono provocare dei disturbi intestinali al neonato ed altri cibi, invece, che possono causare reazioni allergiche. Tra quelli che possono provocare disturbi di tipo intestinale troviamo: Insaccati Carni crude Uova crude Crostacei Molluschi Anche alcuni latticini o legumi, come i fagioli, possono provocare delle coliche al neonato e, di conseguenza, è importante limitarne il consumo. Ci sono inoltre una serie di alimenti come le spezie, acciughe, aglio, ketchup, asparagi, cipolle, cavoli, zenzero e peperoni che dovrebbero essere assunti con moderazione in quanto i neonati non gradiscono i sapori forti. Altri cibi da evitare in allattamento, sono tutti quelli che potrebbero provocare delle possibili reazioni allergiche e tra questi figurano gli agrumi, la frutta secca, i pomodori, i crostacei e i molluschi. L’alcol e il caffè possono essere consumati? Il consumo di alcol deve essere necessariamente limitato poiché il neonato non è in grado di metabolizzarlo per immaturità enzimatica, l’enzima cioè deputato alla degradazione dell’alcol non è del tutto sviluppato. Non esistendo, ad oggi, dei valori considerati sicuri, si preferisce limitarne il più possibile l’assunzione. Nel caso in cui si fosse bevuto alcol, è importante aspettare almeno 3-4 ore prima della poppata.Per quanto riguarda il caffè è invece consigliato non superare le 2 tazzine al giorno in quanto alcuni lattanti sono più sensibili e potrebbero sviluppare dei disturbi del sonno. Fabbisogni nutrizionali durante l’allattamento Durante l’allattamento è richiesto un aumentato fabbisogno di nutrienti e calorie. Una dieta cronicamente scarsa o la mancanza di adeguate riserve nutrizionali accumulate durante il periodo di gravidanza, possono influenzare negativamente la qualità e la quantità del latte. Quanti grassi assumere? Il fabbisogno lipidico (grassi) rimane pressoché invariato rispetto ai valori standard della gravidanza, pertanto parliamo di circa il 20-30% delle calorie totali come viene specificato anche dalle tabelle LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento dei Nutrienti). Un’attenzione molto importante deve essere data alla qualità dei lipidi. I grassi saturi devono essere <10% delle calorie totali (ricordiamoci che i grassi saturi sono principalmente contenuti in prodotti di origine animale come carni grasse, latticini, formaggi, salumi e insaccati). Devono, quindi, prevalere i grassi di origine vegetale e quelli derivanti dal pesce (Omega 3). La scelta del pesce deve essere fatta necessariamente tenendo in considerazione la possibilità di contaminazione. Proprio per questo è consigliato assumere pesce di taglia piccola per evitare le contaminazioni da metilmercurio e pesci magri per evitare la contaminazione con diossine.Se vuoi approfondire meglio questo argomento, ti rimando all’articolo su alimentazione e gravidanza. Fabbisogno di proteine, carboidrati ed energia Il fabbisogno proteico deve essere aumentato di 17-21 grammi nel primo semestre di allattamento e di 11-14 grammi nel secondo semestre (LARN). Questo per far fronte alle esigenze della lattazione. Sappiamo, inoltre, che in base al tipo di allattamento (naturale o artificiale), il fabbisogno proteico della nutrice può variare. Pertanto è di fondamentale importanza sentire il parere del proprio specialista. Per concludere i fabbisogni nutritivi, passiamo dunque ai carboidrati. Le necessità di una donna che allatta non si discostano molta dalle linee guida generali e pertanto è previsto un consumo di carboidrati che si aggira tra il 50-55% delle calorie totali, riducendo al 15%, gli zuccheri semplici. La produzione di latte richiede molta energia, che è proporzionale alla quantità di latte prodotto. Per questo motivo è necessario un supplemento calorico, evitando, così, di andare incontro ad una scarsa alimentazione che può influenzare negativamente la produzione del latte. Non dobbiamo dimenticarci, inoltre, di mantenere un bilancio idrico adeguato integrando circa 700 mL di acqua oltre i normali 2L al giorno. Quali micronutrienti sono importanti durante l’allattamento? I LARN consigliano un aumento dell’assunzione di alcune vitamine quali: Vitamina C, Vitamine del gruppo B, Vitamina D e Vitamina A. Per quanto riguarda i minerali, è importante assumere un intake adeguato di: Calcio: essenziale per il corretto sviluppo osseo: 1 gr/die Iodio: Per lo sviluppo della tiroide: 290 mg/die Zinco: Per un corretto sviluppo del neonato: 13 mg/die Il Calcio è possibile trovarlo nei derivati del latte e in minor parte negli ortaggi, mentre per lo Iodio è importante il consumo di almeno 2 porzioni di pesce a settimana e l’utilizzo di sale iodato. L’insieme di questi fattori permette, nella stragrande maggioranza della popolazione, di arrivare ad un quantitativo di Iodio adeguato. Ricordiamoci, però, di non superare i 5-6gr di sale al giorno, a causa del rischio legato alle malattie cardiovascolari. Lo Zinco, invece, può essere assunto attraverso latte e derivati, uova, carne e cereali. Una dieta vegetariana influenza l’allattamento? Se la dieta è ben bilanciata e variegata non c’è nessun tipo di controindicazione, ma le diete vegetariane o vegane sono più a rischio di carenze vitaminiche e di alcuni minerali. Ad esempio è facile andare incontro ad un deficit di Vit. B12, di Calcio, e di acidi grassi essenziali Omega 3. In tal caso, un’ottima soluzione, potrebbe essere l’integrazione di tali nutrienti attraverso dei supplementi che, generalmente,

Dieta per colesterolo alto

Il colesterolo alto, anche detto ipercolesterolemia è una condizione patologica estremamente frequente. Secondo l’ISS (Istituto Superiore di Sanità), infatti, il 21% degli uomini e il 23% delle donne compresi tra i 35 e i 74 anni, è ipercolesterolemico, quindi presenta valori di colesterolo elevati. In questo articolo spiegheremo quali sono le sue funzioni, le differenze tra HDL e LDL e quale dieta seguire in caso di colesterolo alto. Cos’è il colesterolo? Quali sono i fattori di rischio cardiovascolare? Che differenza c’è tra colesterolo HDL e LDL? Quali sono i valori ottimali? Dieta per colesterolo alto: Alimenti Grassi saturi Colesterolo negli alimenti e fibre Grassi mono-polinsaturi Carne rossa, uova e colesterolo Dieta per il colesterolo alto: Nutraceutici e Integratori Migliorare lo stile di vita è la chiave! Riflessione finale Cos’è il colesterolo? Il colesterolo è una molecola facente parte del gruppo dei lipidi. È presente unicamente negli animali, mentre nelle piante abbiamo delle forme di diversa struttura che prendono il nome di fitosteroli. Una delle tante funzioni del colesterolo risiede nelle membrane cellulari delle nostre cellule. Le membrane sono fondamentali per far comunicare correttamente l’interno della cellula (dove avvengono moltissime reazioni chimiche) con l’ambiente esterno. A dare forma a queste membrane ci sono delle lunghe catene di fosfolipidi che determinano una precisa struttura della membrana. In mezzo ai fosfolipidi troviamo il colesterolo che permette di mantenere una certa stabilità e fluidità della membrana. La maggior parte del colesterolo (circa il 75%) lo possiamo trovare nel Sistema Nervoso Centrale (fondamentale per la formazione delle guaine mieliniche), nel tessuto connettivo, nel muscolo e nella pelle.A questo punto vi starete chiedendo: e allora se il colesterolo è così tanto importante, perché viene descritto sempre come un nemico della salute? La risposta è piuttosto semplice! Il colesterolo, in elevate quantità nel sangue, è implicato nella patogenesi dell’aterosclerosi, pertanto ha un ruolo cardine nella medicina preventiva. L’aterosclerosi non è altro che una condizione patologica rappresentata da una perdita di elasticità da parte delle arterie con l’accumulo di materiale lipidico, infiammatorio e successivamente fibrotico che porta spesso ad esiti cardiovascolari spiacevoli come l’infarto del miocardio o l’ictus. Quali sono i fattori di rischio cardiovascolare? L’aterosclerosi è una patologia multifattoriale. Questo significa che non è soltanto il colesterolo elevato ad indurre un inizio di aterosclerosi, ma sono una molteplicità di fattori. Per agire in via preventiva ai possibili rischi cardiovascolari è bene fare delle precisazioni ed elencare quelli che sono i principali rischi cardiovascolari da non sottovalutare. Possiamo suddividerli in due grandi categorie: NON MODIFICABILI (sono tutti quei fattori dove noi non possiamo intervenire in nessun modo) Età avanzata Etnia Familiarità per malattie cardiovascolari Sesso maschile MODIFICABILI (sono quei fattori dove possiamo intervenire per abbassare il rischio cardiovascolare) Fumo di sigaretta Ipertensione arteriosa Profilo lipidico alterato (LDL Alto, HDL Basso, Trigliceridi Alti) Sedentarietà Iperomocisteinemia (Omocisteina alta nel sangue determina un maggior rischio cardiovascolare) Obesità (soprattutto quella di tipo addominale con aumento del tessuto adiposo viscerale) Di fattori di rischio ne esistono molti altri, ma oggi ci concentreremo su questi che sono sicuramente i più frequenti. Che differenza c’è tra colesterolo HDL e LDL? Il colesterolo, nel sangue viene trasportato da due tipi di lipoproteine: HDL e LDL. Noi associamo il colesterolo buono a quello HDL mentre il colesterolo cattivo a quello LDL. Perché? Per spiegarlo in modo molto semplificato ma efficace, le lipoproteine HDL trasportano il colesterolo dalla periferia al fegato dove viene degradato, per questo viene definito anche come “colesterolo spazzino“. Le lipoproteine LDL, invece, trasportano il colesterolo verso la periferia e quindi verso i vasi sanguigni e nello specifico le arterie. Partendo da questo concetto, possiamo già intuire come il colesterolo LDL possa provocare l’innesco dell’aterosclerosi. Ma cosa succede nello specifico? In condizioni normali le LDL si legano al proprio recettore (LDL-r) che permette alle lipoproteine di entrare nella cellula, mantenendo così, normali i valori nel sangue. In condizioni patologiche dove prevalgono i fattori di rischio cardiovascolare quello che succede è che le LDL si trasformano in LDL ossidate cambiando struttura e non vengono più riconosciute dal proprio recettore. Questo, insieme ad altri meccanismi determina una maggior permanenza delle LDL ossidate nelle arterie (nello spazio sub-endoteliale). L’accumulo di LDL ossidate provoca una risposta da parte delle cellule immunitarie ed in particolare di macrofagi, che attraverso un loro recettore, inglobano le LDL ossidate per cercare di eliminarle. Questo alla lunga induce un aumento di questo materiale lipidico e infiammatorio che determina la crescita della placca aterosclerotica che poi va ad ostacolare il normale flusso sanguigno. Tutto precipita, quando si rompe un cappuccio fibroso situato sull’ateroma e ciò costituisce un grave evento in quanto accorrono le piastrine che iniziano una fase di coagulazione che è chiaramente controproducente al normale scorrimento del flusso sanguigno. Questo porta successivamente ad un infarto del miocardio, un ictus o qualsiasi altro evento cardiovascolare. Quali sono i valori ottimali? Colesterolo Totale < 200 mg/dl HDL > 40 mg/dl uomini > 50 mg/dl donne LDL < 100 mg/dl Trigliceridi < 150 mg/dl In ambito clinico il target terapeutico è l’LDL, sia per quanto riguarda le modifiche sulla dieta per il colesterolo alto, sia un eventuale terapia farmacologica. Ricordiamo, inoltre, che per chi ha subito degli eventi cardiovascolari acuti come l’infarto, il target di riferimento dell’LDL non sarà più <100 mg/dl ma decisamente più basso (circa 50 mg/dl). Dieta per colesterolo alto: Alimenti Dopo una lunga introduzione su cos’è il colesterolo e dopo aver visto i principali fattori di rischio cardiovascolare, vediamo ora come possiamo intervenire attraverso una dieta ben strutturata e specifica per chi soffre di colesterolo alto. Grassi saturi È stato accertato, ormai, l’effetto ipercolesterolemizzante degli acidi grassi saturi, soprattutto quelli a lunga catena (miristico e palmitico). Svolgono un ruolo simile anche gli acidi grassi trans (o idrogenati). Questo effetto è caratterizzato dall’aumento dei livelli di LDL nel sangue a causa dell’inibizione del recettore dell’LDL (che abbiamo citato nell’introduzione). Quindi è importante limitare tutti quegli alimenti che contengono elevati livelli di grassi saturi come: Carni grasse Insaccati e salumi Burro Olio di palma

Dieta per massa muscolare

Molto spesso, in palestra, mi è capitato di incontrare persone che avevano l’obiettivo di aumentare la propria massa muscolare senza però sapere da dove iniziare. Si commette l’errore, di allenarsi trascurando l’aspetto dell’alimentazione che è importante quanto l’allenamento, se non di più. Oggi vedremo quale dieta seguire per aumentare la massa muscolare, sfatando alcuni miti da palestra che, purtroppo, ancora persistono. Ricordatevi che la dieta riflette in tutto e per tutto la vostra composizione corporea (insieme all’esercizio fisico), pertanto per ottenere dei risultati è importante iniziare un percorso alimentare e di allenamento studiato in base alle esigenze della persona. Come si aumenta la massa muscolare? Dieta per massa muscolare: Ricomposizione corporea Dieta per massa muscolare: Surplus calorico Quante calorie assumere? Quando conviene andare in ipercalorica? Dieta per aumento massa muscolare: Macronutrienti Dieta per massa muscolare: Timing nutrizionale Come si aumenta la massa muscolare? Iniziamo dicendo che la massa muscolare per crescere ha bisogno di alcuni requisiti fondamentali primo tra tutti: Energia. Ogni cosa per svilupparsi richiede dell’energia. Da dove si può ricavare l’energia necessaria ad aumentare la massa muscolare? Endogena: dal tessuto adiposo (grasso) Esogena: dall’alimentazione Dieta per massa muscolare: Ricomposizione corporea Nel primo caso la situazione è un po’ più complessa in quanto “trasformare” il grasso in muscolo è una condizione che si adatta meglio in alcune situazioni particolari. Nel caso di un neofita (colui che non ha praticato mai sala pesi in modo corretto) o nel caso di un sovrappeso. Chi ha una quantità di grasso abbastanza elevata (>15%) più facilmente utilizzerà l’energia che ricava dal dimagrimento per incrementare la massa muscolare (chiaramente tutto questo se si esegue un allenamento adeguato). Questa condizione viene anche definita come ricomposizione corporea. “Quindi mi stai dicendo che per aumentare la massa muscolare non c’è bisogno di una dieta ipercalorica?” Teoricamente si, in pratica la realtà è molto più complessa. Infatti nonostante questa ricomposizione avviene, la quantità di massa muscolare che aumenta in relazione ad un dimagrimento è inferiore rispetto alla quantità di massa muscolare che aumenterebbe in relazione ad una dieta ipercalorica. Questo perché in fase di ipocalorica il corpo mette in funzione alcuni meccanismi omeostatici per compensare questa mancanza di energia, come ad esempio ridurre tutti quei sistemi che consumano energia, primo tra tutti l’aumento della massa muscolare. A questo, inoltre, dobbiamo aggiungere la genetica. Senza entrare troppo nello specifico, chi ha una miglior sensibilità all’insulina sarà sicuramente avvantaggiato nell’aumento della massa muscolare. Chi soffre di resistenza insulinica e obesità addominale, invece, farà molta più fatica ad ottenere una ricomposizione corporea. Dieta per massa muscolare: Surplus calorico Il secondo caso per aumentare la massa muscolare è attraverso una dieta ipercalorica, ovvero fornire attraverso l’alimentazione una quantità di energia superiore alle richieste dell’organismo. In una persona sedentaria il surplus calorico, si traduce in un aumento del tessuto adiposo (si ingrassa). In una persona allenata, l’energia in eccesso che noi diamo all’organismo sarà la base per costruire muscolo. Ovviamente non tutta l’energia che noi forniamo viene utilizzata per il muscolo, ma buona parte anche per il grasso. Quante calorie assumere? La dieta per la massa muscolare come abbiamo detto, deve essere ipercalorica. Quindi, quante calorie dobbiamo assumere? Si consiglia un surplus di +300 / +500 Kcal da aggiungere alla normocalorica. Esempio: Se abbiamo una normocalorica di 2000Kcal, possiamo aumentare le calorie a 2300-2500. Così facendo cercheremo di contenere il più possibile l’aumento di tessuto adiposo. Diciamo fin da subito che superare questa quota calorica di 500 kcal NON vi farà aumentare la massa muscolare, ma solamente grasso. Vedo spesso persone che vogliono aumentare velocemente il peso corporeo quando fanno massa, non riuscendo a capire che il muscolo HA BISOGNO di tempo per crescere. Se vediamo sulla bilancia 4-5kg in 1 mese non può essere tutto muscolo, ma la maggior parte sarà grasso.Aumentare di 2kg al mese, invece, vi farà prendere la stessa quantità di muscolo, ma molto meno grasso. Alcune volte è difficile stabilire il reale fabbisogno energetico di un individuo, soprattutto in quei soggetti che hanno seguito delle diete fai da te con restrizioni caloriche assurde ritrovandosi con un metabolismo letteralmente “sotto terra”. Spesso sono soggetti sedentari che non dimagriscono nonostante seguano diete da 1000-1200kcal. In quel caso è utile prima di iniziare una dieta per aumentare la massa muscolare, fare un reset metabolico ristabilendo un corretto fabbisogno nutrizionale. Fare diete fai da te con restrizioni caloriche non giustificate può compromettere moltissimo il percorso di dimagrimento che si vuole affrontare Quando conviene andare in ipercalorica? Mi è capitato molto spesso, che alcune persone vogliono aumentare la massa muscolare e vengono da me con l’idea di seguire una dieta ipercalorica. Quando, poi, andiamo a fare un check della composizione corporea capisco subito che non è la strada migliore da percorrere. Questo perché, in caso di massa grassa piuttosto elevata, andare in ipercalorica non è molto vantaggioso. Capiamo perché, invece, è utile fare un periodo di ipocalorica, ritornare ad una percentuale di grasso idonea e poi iniziare, eventualmente, una fase di ipercalorica. Durante il dimagrimento, oltre a beneficiare della ricomposizione corporea, sfruttiamo anche il cosiddetto rebound anabolico che ci sarà successivamente al periodo di ipocalorica. Infatti dopo un periodo di restrizione energetica, i benefici di un aumento calorico saranno a carico del tessuto muscolare piuttosto che del grasso. Dieta per aumento massa muscolare: Macronutrienti Macronutrienti Fabbisogno giornaliero Carboidrati 55-65% delle calorie totali Proteine 1,4-2 gr / kg peso corporeo Lipidi 25-30% delle calorie totali ISS – La nutrizione nella pratica motoria e sportiva I carboidrati, anche per chi esegue una pratica sportiva devono rappresentare la maggior parte delle calorie totali. Principalmente devono essere carboidrati complessi (pasta, riso, pane, legumi ecc) riducendo il più possibile gli zuccheri semplici (bevande zuccherate, succhi di frutta, biscotti e dolci vari) che da linee guida LARN non devono superare il 15% delle calorie totali. Per quanto riguarda le proteine se ne sentono di tutti i colori. Dai miti delle palestre dove vengono consigliati fino a 3gr/kg di peso corporeo se non di più, a chi ha il

Dieta antistress: Cosa mangiare?

Lo stress è definito come la risposta dell’organismo ad una condizione ambientale. Queste risposte sono comandate da diversi sistemi tra cui il Sistema nervoso autonomo e l’Asse ipotalamo-ipofisi-surrene.In questo articolo capiremo cosa provoca lo stress sul comportamento alimentare, ma soprattutto se esiste una dieta antistress che permette di gestire questa condizione in modo tale da evitare un peggioramento dello stato di salute della persona. Cosa provoca lo stress? Perché ingrassiamo quando siamo stressati? Perché non abbiamo fame quando siamo stressati? Dieta antistress: Carboidrati e sonno Dieta antistress: Strategie nutrizionali Integratori antistress Ashwagandha Attività Fisica e stress Conclusioni Cosa provoca lo stress? Negli ultimi decenni si è visto un incremento dei livelli di stress nella popolazione a causa dei ritmi di vita sempre più frenetici ed esigenti correlati ad una continua insoddisfazione generale. Tutto questo, si riflette in molti aspetti della vita quotidiana, primo tra tutti l’alimentazione. Diversi studi ormai hanno dimostrato una forte correlazione tra stress e una variazione di peso corporeo. Infatti alcuni individui tendono a dimagrire di fronte a condizioni stressanti ed altri a ingrassare. Perché c’è questa forte contraddizione individuale? Prima di iniziare a spiegare passo passo le strategie nutrizionali che caratterizzano una dieta antistress dobbiamo necessariamente capire il motivo che sta dietro alle variazioni di peso correlate allo stress. Questa risposta fisiologica è puramente individuale e nonostante la maggior parte degli studi è d’accordo nell’affermare che lo stress provoca un aumento di peso, ci sono altrettanti studi che affermano che una minoranza delle persone tende a diminuire di peso. Perché ingrassiamo quando siamo stressati? Dal punto di vista biochimico sappiamo che l’aumento di cortisolo (principale ormone dello stress) provoca un aumento diretto e indiretto dell’assunzione di cibo attraverso la stimolazione ipotalamica dei centri della fame.Inoltre il cortisolo promuove la cosiddetta fame edonica provocando la ricerca di alimenti zuccherini ad alto senso di gratificazione in quanto stimolano il circuito dopaminergico del piacere. Questo è anche definito come sistema di ricompensa che a lungo andare può portare ad un vera e propria forma di dipendenza. Il cortisolo favorisce, anche, l’accumulo viscerale di grasso provocando un obesità di tipo centrale ed uno stato di insulino-resistenza che oltre a predisporre per il diabete, è un terreno fertile per la promozione dell’obesità. Questa condizione è verificabile in quegli individui che soffrono della Sindrome di Cushing caratterizzati da elevati livelli di glucocorticoidi.È stato dimostrato che, in media, gli individui obesi hanno livelli di cortisolo più elevati. Un altro aspetto che può determinare un aumento di peso è sicuramente legato ad eventuali disturbi del sonno correlati allo stress. Una restrizione del riposo è infatti associata ad un’alterazione nella produzione di alcuni ormoni. Chi dorme meno tende ad avere livelli più elevati di grelina e livelli più bassi di leptina e questo assetto ormonale stimola il senso di fame provocando un aumento ponderale. Per concludere, questa immagine è molto rappresentativa e fa capire il legame che c’è tra stress e obesità e tutte i diversi meccanismi che rendono questa correlazione molto complessa. Perché non abbiamo fame quando siamo stressati? L’altra faccia della medaglia è rappresentata da coloro che dimagriscono a causa dello stress in quanto spesso e volentieri tendono ad avere lo “stomaco chiuso”. Perché accade questo? In letteratura scientifica non abbiamo molto materiale che descrive in modo dettagliato i meccanismi alla base di questa risposta individuale. Un meccanismo che potrebbe partecipare nel calo ponderale è il sistema CRH-Urocortina. L’Urocortina è una proteina che ha dimostrato ridurre i livelli plasmatici di grelina e questo potrebbe essere uno dei tanti meccanismi alla base di questa risposta individuale. Quello che sappiamo con certezza è che questa variabilità individuale è preponderante nel determinare se un individuo perde o acquista peso in condizioni di stress. Ma quello che interessa a noi al di là delle cause e dell’aspetto metabolico e biochimico, è affrontare queste condizioni con delle strategie nutrizionali adattate alle esigenze di ogni singolo individuo. Dieta antistress: Carboidrati e sonno Alcuni studi hanno evidenziato l’efficacia dell’assunzione di un pasto ricco di carboidrati ad alto indice glicemico con la qualità del sonno. In particolare l’assunzione di alimenti con alto I.G. da 4 ore a 1 ora prima di andare a dormire ha avuto un ottima risposta nel ridurre il tempo di insorgenza del sonno rispetto ad alimenti a basso indice glicemico. Questa può essere una piccola strategia nutrizionale da adottare per chi soffre di disturbi del sonno. Dieta antistress: Strategie nutrizionali Abbiamo detto che lo stress ed in particolare il cortisolo può indurre la ricerca di alimenti zuccherini e densamente energetici che contribuiscono all’eccesso calorico. Una piccola strategia potrebbe essere quella di introdurre negli spuntini qualche alimenti con potere gratificante come del cioccolato fondente. Chiaramente questi alimenti devono essere inseriti con criterio e attraverso un piano nutrizionale ben definito e studiato da un professionista. Un’altra considerazione da fare è che, l’organismo avverte il deficit calorico come condizione di stress pertanto fornire diete estremamente ipocaloriche non aiuta né dal punto di vista metabolico né per la gestione dello stress. Un altro aspetto importante è la frequenza dei pasti. Un soggetto stressato tende a scaricare lo stress mangiando molto e spesso. Un buon modo quindi è suddividere l’alimentazione in più pasti così da non lasciare periodi di digiuno troppo prolungati. Infine per attenuare il senso di fame e stimolare la sazietà possiamo attuare tutte quelle strategie nutrizionali adatte a questo scopo come l’aumento delle fibre alimentare che hanno un potere saziante molto elevato, aumentare l’apporto proteico, assumere più frutta e verdura e bere molta acqua soprattutto durante il pasto. Per coloro che perdono peso, la suddivisione dell’alimentazione in più pasti può essere anche in questo caso efficace per evitare pasti troppo abbondanti. L’importante in questo caso è evitare un calo ponderale non desiderato cercando di sfruttare alimenti densamente energetici e garantire così un fabbisogno nutrizionale adeguato al mantenimento del peso corporeo. Integratori antistress Esistono integratori efficaci nella riduzione dello stress psicologico? In questo articolo vi citerò solo qualche integratore che, studi alla mano, ha dimostrato la riduzione dello stress

Prenota ora una visita

Avvertenza

Le informazioni riportate in questa sezione del sito non vogliono in nessun modo sostituire il parere di un medico o specialista, ma sono solo a scopo informativo!

Apri Whatsapp
Scrivimi per maggiori info